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sabato 24 agosto 2013

LE NOVE CALAMITA'





Guai alla nazione che abbandona la religiosità per la fede, il viottolo di campagna per il viale di città, la saggezza per la logica.

Guai alla nazione che non tesse le vesti che indossa, che non pianta il cibo che mangia, che non spreme il vino che beve.

Guai alla nazione conquistata che vede nello sfoggio del vincitore il colmo della bontà, e ai cui occhi è bellezza la laidezza del conquistatore.

Guai alla nazione che in sogno lotta contro i torti ma nella veglia cede all'ingiustizia.

Guai alla nazione che alza la voce solo ai funerali, che mostra rispetto soltanto al cospetto di una tomba, che aspetta a ribellarsi finchè il suo collo non giace sotto il filo di una spada.

Guai alla nazione la cui politica è l'astuzia, la cui filosofia è il funanbolismo, la cui industria è l'arte di rabberciare.

Guai alla nazione che saluta il conquistatore con pifferi e tamburi, e lo caccia soltanto per accoglierne un altro con canti e fanfare.

Guai alla nazione il cui saggio è muto, il cui eroe è cieco, il cui avvocato è balbuziente.

Guai alla nazione in cui ogni tribù pretende di essere una nazione.

di Kahlil Gibran

IL GOVERNO LO DENUNCIA DA TEMPO: CONFLITTI D’INTERESSI NELLA RICERCA BIOMEDICA E NELLA PRATICA CLINICA



Il Governo lo denuncia da tempo. E tu cosa aspetti a denunciare entrambi?

Presidenza del Consiglio dei Ministri
COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA

CONFLITTI D’INTERESSI NELLA RICERCA BIOMEDICA E NELLA PRATICA CLINICA

Approvato nella Seduta Plenaria dell’8 Giugno 2006
http://www.governo.it/bioetica/testi/Conflitti_interessi.pdf

"Considerazioni finali
Recentemente sono state descritte alcune delle situazioni che si vengono frequentemente a creare, nelle quali l’obiettività della ricerca e quella dell’informazione scientifica che viene data ai medici, può venir messa in pericolo:


1) l’industria spesso non fornisce ai medici un’informazione neutrale e completa, ma un’informazione già indirizzata, creata nei propri uffici;


2) i farmaci prodotti sono spesso duplicati di altri farmaci già esistenti (i cosiddetti farmaci me-too) che non presentano vantaggi rispetto a questi ultimi e che vengono venduti a un prezzo superiore. L’industria promuove solitamente i medicamenti più recenti e costosi e a tal fine a volte elargisce ai medici vari tipi di “doni” che inducono nei sanitari un atteggiamento incline all’iperprescrizione o alla prescrizione dei farmaci più costosi;


3) l’industria controlla e indirizza la ricerca attraverso i finanziamenti che elargisce all’Università;
 

4) l’industria a volte interrompe ricerche non favorevoli o ne impedisce la pubblicazione. In altri casi distorce una ricerca in corso, sostituendo gli obiettivi (end points) primari con obiettivi surrogati;
 

5) i dati bruti delle sperimentazioni clinico-farmacologiche rimangono spesso nelle mani dell’industria e non vengono mai messi a disposizione dei ricercatori che li hanno prodotti. A questi ultimi i dati vengono forniti soltanto quando sono stati rielaborati dagli uffici statistici delle aziende;
 

6) l’industria, in quanto “proprietaria dei risultati”, non pubblica i risultati negativi;
 

7) le riviste scientifiche non pubblicano articoli con dati negativi perché di scarso interesse scientifico o commerciale;

8) l’industria condiziona, attraverso la pubblicità, le maggiori riviste mediche, i cui referees spesso hanno rapporti di dipendenza economica dalle aziende;
 

9) i medici che redigono le rassegne o le linee-guida sovente non sono davvero indipendenti.
dalle industrie.
 

10) anche le pubbliche amministrazioni spesso non sono indipendenti dalle industrie.
 

Questi comportamenti scorretti -peraltro non estensibili a tutte le industrie- non escludono che un regime di libero mercato correttamente inteso e regolato abbia avuto e possa avere un ruolo centrale nel progresso della ricerca biomedica e nello sviluppo delle tecnologie ad essa relative. Essi però possono creare condizioni di conflitto d’interesse nell’ambito dei ricercatori biomedici e dei clinici nei confronti delle aziende con le quali vengono in contatto.

Data la complessità della situazione reale, i rimedi possibili non appaiono privi di difficoltà e non possono condurre certamente a soluzioni definitive. Appare fondamentale, in questo campo, il ruolo dei comitati etici che dovrebbero verificare i protocolli di sperimentazione sottoposti alla loro approvazione, valutando i rischi eventualmente insiti nella ricerca alla luce dei benefici che potrebbero concretamente derivare per il singolo paziente e per l’intera comunità.


Inoltre potrebbero promuovere la divulgazione delle conoscenze scaturite dalla ricerca clinica, chiedendo l’impegno della diffusione e/o della pubblicazione dei risultati da parte degli sperimentatori, nel rispetto delle norme vigenti in tema di riservatezza dei dati e di tutela brevettale. Nel caso della sperimentazione clinica non sponsorizzata dall'industria condotta in accordo con il Decreto cosiddetto "no profit" (D.M. 17 .12. 2004: Prescrizioni e condizioni di carattere generale, relative all'esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali, con particolare riferimento a quelle ai fini del miglioramento della pratica clinica, quale parte integrante dell'assistenza sanitaria), i Comitati etici hanno anche il compito di verificare che non siano effettuate sotto questa veste sperimentazioni con finalità commerciali. In questo caso i Comitati etici sono esplicitamente chiamati a verificare che sia presente una dichiarazione sul conflitto di interessi, prevista in modo molto particolareggiato in un allegato al Decreto.


Gli stessi Comitati Etici possono assolvere al compito di “garanti” solo se sono istituiti e organizzati in modo da assicurare la propria indipendenza da ogni forma di subordinazione gerarchica dalla struttura in cui operano. Anche nei Comitati Etici deve essere garantita l’assenza di qualsiasi forma di conflitto d’interessi dei votanti rispetto ai protocolli di ricerca proposti.
Per quanto riguarda i problemi legati alla ricerca, il primo provvedimento dovrebbe riguardare la trasparenza delle varie situazioni. Ogni sponsorizzazione ed ogni legame, diretto o indiretto, esistente fra l’industria e il singolo ricercatore o l’istituzione in cui questi opera, dovrebbe essere dichiarato pubblicamente e descritto senza nascondimenti nei suoi termini reali quando vengono resi noti o utilizzati i risultati della ricerca per sostenere scelte terapeutiche. Le industrie sponsorizzatrici dovrebbero comunicare sempre e a tutti coloro che hanno partecipato ad uno studio, tutti i dati bruti ottenuti. L’interpretazione di tali dati dovrebbe essere discussa collegialmente fra i rappresentanti dell’azienda ed i rappresentanti dei vari gruppi di ricerca che hanno svolto lo studio. Il testo finale del lavoro dovrebbe essere approvato da tutti coloro che hanno partecipato all’indagine e, nel caso di interpretazioni contrastanti, dovrebbe contenere le differenti opinioni.
Poiché la mancata pubblicazione dei risultati di uno studio non favorevole o scarsamente favorevole ad uno specifico trattamento rappresenta un fattore che distorce le conoscenze complessive della comunità scientifica, i Comitati Etici dovrebbero esercitare ogni sforzo affinché in letteratura compaia notizia dell’esito di ogni ricerca clinica iniziata. Ciò dovrebbe valere anche e soprattutto per gli studi che vengono interrotti per la manifesta scarsa efficacia della terapia testata o per la presenza di rilevanti effetti collaterali. Infatti l’assenza della pubblicazione in letteratura dei risultati negativi di una ricerca produce una gravissima lacuna conoscitiva, sia in ambito sperimentale (permettendo inutili duplicazioni di ricerche simili, con un inaccettabile dispendio di risorse economiche che potrebbero essere destinate ad altri settori), sia in ambito clinico (non consentendo al clinico di conoscere in maniera esaustiva tutte le informazioni necessarie per garantire a ciascun paziente il dovuto binomio “miglior risultato terapeutico/minor esposizione al rischio di avventi avversi”).


E’ poi importante rilevare che una ricerca, sul piano morale, appartiene a tutti coloro che, insieme, l’hanno concepita ed eseguita e che ne hanno tratto ed esposto le conclusioni, indipendentemente dalla posizione giuridica (dipendenti di strutture pubbliche, di aziende private, singoli professionisti, ecc.) o professionale (biologi, chimici, medici, statistici, fisici, ecc.) nella quale si trovavano nel momento dell’esecuzione del lavoro. Pertanto, deve essere sottolineato come il ruolo dei ricercatori che dipendono dalle pubbliche amministrazioni non debba in alcun modo essere meno importante rispetto a quello di coloro che hanno finanziato la ricerca.


Appare infine scorretto l’uso, sempre più frequente, di divulgare i risultati di un esperimento attraverso i mezzi di comunicazione di massa, prima che questi risultati siano stati pubblicati sulle riviste scientifiche e pertanto sottoposti al vaglio e al giudizio della comunità scientifica. Tali comportamenti possono, infatti, indurre nell’opinione pubblica false speranze o pericolosi allarmismi, prima che quei risultati abbiano ottenuto le necessarie conferme o le smentite."

L’OMS dichiara che i latti di proseguimento e di crescita non sono necessari e che il loro marketing può ingannare i genitori


Una nuova presa di posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dal titolo “Information concerning the use and marketing of follow-up formula” (Informazioni sull’uso e il marketing dei latti di proseguimento e di crescita – SCARICA QUI DAL SITO DELL’OMS) divulgata il 17 luglio 2013 afferma che le formule di proseguimento e di crescita non sono necessarie, sono inadatte a sostituire il latte materno dopo i 6 mesi e devono sottostare alle regole di commercializzazione stabilite dall’Assemblea Mondiale della Sanità. IBFAN spera che questa nuova presa di posizione dell’OMS possa spingere i governi a inserire nelle proprie legislazioni il controllo del marketing degli alimenti per lattanti e bambini piccoli, per far sì che i genitori ricevano solo informazioni obiettive e indipendenti sul migliore modo di nutrire i loro bambini. L’Unione Europea, dove la pubblicità ai latti di proseguimento e crescita è dilagante, ha recentemente emesso un regolamento che dovrebbe in qualche modo – non completamente, ma è un inizio – rafforzare questi controlli, vietando l’idealizzazione di questi latti nelle loro etichette.
L’industria di alimenti per l’infanzia ha inventato i latti di proseguimento per scopi commerciali e a torto sostiene che questi non siano coperti dal Codice Internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno e successive pertinenti Risoluzioni dell’Assemblea Mondiale della Sanità. Ora continua questa strategia aggiungendo latti fortificati con nomi idealizzanti come ‘latte di crescita’, ‘latte primi passi’, ‘latte junior’ – denominazioni che non sono state autorizzate per il mercato europeo.

L’OMS afferma:
“Alcuni studi suggeriscono in modo convincente una diretta correlazione tra le strategie di marketing per i latti di proseguimento e di crescita e la percezione e il conseguente uso di questi prodotti come sostituti del latte materno. In molti casi, la confezione, il marchio e l’etichettatura dei latti di proseguimento e di crescita sono molto simili a quelli del latte per lattanti. Questo genera confusione circa la destinazione d’uso dei prodotti, cioè la percezione che siano sostituti del latte materno.”
“Anche se i latti di proseguimento e di crescita non sono necessari, e risultano non idonei quando usati come sostituti del latte materno, sono commercializzati in un modo che può generare confusione e avere un impatto negativo sull’allattamento al seno […] tipo di confezione, marchio ed etichettatura, possono indurre le madri a usare questi prodotti nei primi sei mesi e/o a sospendere l’allattamento al seno dopo questo periodo.”

“Se i latti di proseguimento e di crescita sono commercializzati o comunque rappresentati come adatti, con o senza modifiche, per sostituire parzialmente o completamente il latte materno, sono coperti dal Codice. Inoltre, quando i latti di proseguimento e di crescita sono altrimenti rappresentati in modo da essere percepiti o usati in sostituzione del latte materno, parzialmente o completamente, detti prodotti ricadono nell’ambito di applicazione del Codice.”

Patti Rundall, co-presidente di IBFAN, dice: “il marketing dei latti di proseguimento e di crescita ha fatto moltissimi danni alla salute e alla sopravvivenza dei neonati e dei bambini piccoli – in tutte le parti del mondo le aziende produttrici hanno utilizzato ogni mezzo per promuovere questi latti costosi come essenziali per la salute, utilizzando affermazioni di salute, idealizzazioni, doni, omaggi e pubblicità. Alcune aziende hanno affermato che questi prodotti non sono coperti dal Codice. Ma questa presa di posizione prova che hanno torto. I genitori sono stati raggirati e indotti a spendere inutilmente milioni di dollari, e devono conoscere la verità.”
IBFAN Italia ringrazia Solange Grosso per la traduzione in italiano del documento OMS
Fonte: Ibfanitalia

mercoledì 21 agosto 2013

LA SCIENZA SI ARRENDE AL POTERE CURATIVO DELLA MENTE






Ipnosi, placebo, pensiero positivo, fede spirituale, sogni lucidi e meditazione sono alcune delle forme attraverso le quali la scienza moderna ha riscoperto che la mente è capace di operare e curare il corpo.
Il Dhammapada, uno dei testi buddisti più influenti, comincia così: “Siamo ciò che pensiamo. Tutto ciò che siamo nasce dai nostri pensieri”. Queste parole si attribuiscono a Buddha e risalgono a circa 2500 anni fa, tempo che ci ha messo anche la scienza occidentale a riconoscere il potere della mente sul corpo. Però, sembra che finalmente, alla luce delle evidenze, il pensiero scientifico accetta che il pensiero – senza riconoscere del tutto qualcosa come l’energia psichica” – è fondamentale a modellare gli stati fisici che sperimentiamo.

Una delle riviste di divulgazione scientifica più importanti del mondo, la rivista, New Scientist, dedica una recente edizione al potere dell’autoguarigione. Come dice bene l’editrice Jo Marchant, non c’è bisogno più di essere hippy per credere nel potere della mente. Ora la scienza, appoggiata da ricerche rigorose, può constatare che la mente è la chiave della salute e che probabilmente sia l’”ingrediente attivo” più importante di tutta la medicina.

Diversi studi sul placebo, l’ipnosi, la meditazione, il pensiero positivo, la fiducia e l’intenzione (tra gli altri che analizzeremo più avanti), mostrano che la mentalizzazione  esercita un’influenza significativa nel determinare lo stato di salute di una persona. Questo funziona in entrambe le direzioni: persone che mostrano un alto grado di fiducia in se stesse (o nel placebo), che meditano, visualizzano o fanno qualche tipo di proiezione mentale, rispondono sistematicaente meglio ai trattamenti, si ammalano meno e hanno una migliore qualità di vita. Persone sottomesse allo stress, che esibiscono poca fiducia –interesse e intenzione -, che possono essere qualificate come pessimiste e che in definitiva non utilizzano la loro mente come strumento per trasformare il loro corpo, al contrario, tendono ad ammalarsi di più e a rispondere con meno efficacia a qualsiasi tipo di trattamento.

Forse potrebbe sembrare una semplificazione della vita e delle situazioni complesse, come possono essere alcune malattie, però i nostri stati mentali si convertono in modo profondo nel nostro stato fisico e, in alcun modo che ci scappa nella quotidianità, la maggior parte delle nostre malattie sono il risultato di processi psichici. Anche se la scienza occidentale contemporanea non ha formulato ancora una concezione totalmente integrale della salute, nella quale nessuna malattia sia slegata da un processo mente-corpo, è probabile che avanzi verso quella direzione, curiosamente una evoluzione che è un ritorno alle premesse della medicina e della filosofia delle culture tradizionali (generalmente considerate come primitive dalla scienza moderna): una comprensione olistica della natura.

In questo senso, oltre a esplorare diverse tecniche di mentalizzazione per guarire, si dovrebbe riflettere su quei pensieri e modelli mentali che ci hanno condotto ad ammalarci, molti di loro si nascondono nel nostro inconscio e desideriamo evitare di affrontarli, però nel processo di individuarli e osservarli staremmo iniziando il viaggio vitale dell’autoconoscenza nel quale ognuno di noi può convertirsi nel suo proprio sciamano – veramente nell’unico medico che può guarire alle radici. Fintanto che non faremo cosciente il nostro inconscio, come enfatizzò Carl Jung, saremo predisposti a una serie di contingenze che costantemente minacciano di prendere il controllo del nostro corpo e la direzione che prende la nostra vita. (Fare cosciente l’inconscio permette anche che si conosca come funziona la mente – vedendo le cause e gli effetti in modo trasparente – e in questo modo evita di essere ipocriti o impostori pensando positivo cercando una specie di effetto magico sconosciuto e riempiendo il mondo di falsi sorrisi programmati).

Ogni pensiero, ogni attività mentale che realizzi, è un seme di ciò che sarai. Non è necessario invocare la magia per capire questo, ma piuttosto la più pura casualità, a una minuziosa concatenazione di eventi e situazioni mentali che vanno, nello stesso modo che l’esercizio fisico, modellando la nostra anatomia psichica, la quale esercita potestà sul nostro corpo. Come si suol dire dello yoga: “il corpo non è solido, solo la mente”. Nella misura in cui siamo capaci, attraverso la disciplina, di generare stati mentali sufficientemente flessibili, potremo sicuramente superare gli scogli del corpo e questo supposto determinismo inesorabile che presenta la genetica.